Era una notte buia e tempestosa o perlomeno sarebbe anche potuta essere visto che delle origini vere e proprie si sa ben poco.
I Domenighetti sono originari di Indemini, unico villaggio svizzero dell'italiana Valle Veddasca. Villaggio di remote origini, lo si trova già menzionato nel 1213 con il suo primitivo nome di "in Dempno" o "Demno" ed i documenti ne parlano già come comune nel 1323.
La storia comincia molto semplicemente con Domenico Domenighetti, nato circa nel 1790, e residente ad Indemini. Suo figlio Costante, nato il 1. Gennaio 1816, come si usava allora in campagna, si sposa molto giovane ed ha presto una prima figlia: Antonia. Il matrimonio però non deve durare a lungo perchè la sua giovane moglie muore di parto dando alla luce una seconda figlia (della quale però non si ricorda il nome).
A quei tempi le donne di Indemini erano costrette una volta alla settimana a camminare per parecchie ore con la gerla per fare provviste nei paesi più vicini (Gerra Gambarogno verso la Svizzera e Maccagno verso l'Italia) attraversando difficili e pericolosi sentieri di montagna e tornando a casa con carichi anche di 30 chili sulle spalle.
Mentre la maggior parte degli uomini, durante tutta la buona stagione dell'anno era costretta a cercare lavoro in luoghi più o meno lontani come muratori, imprenditori e capomastri.
La città in quel periodo era tutta in fermento per la costruzione della ferrovia del Gottardo e c'era dunque parecchio lavoro. Costante viene a sapere che si sarebbe dovuta costruire una strada, cosiddetta d'accesso, che avrebbe dovuto congiungere piazza della Collegiata con la nuova stazione che stava per essere costruita.
Costante essendo un grande risparmiatore, investe il suo capitale mettendosi in società con un certo Giovanni Agnesi, e prende in appalto la costruzione della strada d'accesso alla stazione per la somma di 58.000 Frs.
Avendo bisogno di buoni lavoratori, e sapendo che gli indeminesi avevano la fama di essere degli ottimi muratori, egli si appresta a ricercare tutti gli indeminesi che si trovavano a Bellinzona.
La sua ricerca lo porta ad un negozio di alimentari, che impiegava due indeminesi come fornai. Egli cerca dunque di convincerli a venire a lavorare con lui, ma quando essi gli rispondono che la padrona li aveva aiutati molto nel momento del bisogno, dando loro un lavoro e da mangiare, e che ora da parte loro si sentivano in dovere di aiutarla a loro volta visto che non aveva nessun altro aiuto, egli decide di parlare con la padrona per proporre uno scambio con due dei suoi muratori che essendo meno robusti avrebbero benissimo potuto fare i fornai.
La proprietaria era una certa Giovanna Carmine nata il 26 Giugno 1819, ed anche se dapprima essa non vuole fare lo scambio, Costante con il suo fascino riesce a convincerla lo stesso. Durante le trattative i due si conoscono meglio e scoprono di apprezzarsi. Giovanna propone a Costante di venire a mangiare da lei tutti i giorni e quando la strada è terminata essi sono già sposati (il matrimonio avviene pare nel 1852).
Il negozio di Giovanna Carmine era ubicato nella casa dei Rusconi, antica famiglia patrizia di Bellinzona, i quali ultimi eredi (un fratello, il più anziano, e due sorelle) non si erano mai sposati ne avevano mai avuto figli. Giovannina un giorno si lamenta con Costante che questi Rusconi venivano sempre al suo negozio per fare la spesa, ma che non pagavano mai il conto. L'antica famiglia patrizia dei Rusconi era ormai in declino e gli ultimi derelitti eredi non avevano più nessuna entrata ed era ormai rimasta loro solo la casa. Costante allora le suggerisce di continuare pure la sua beneficenza ma di tenere nota di tutti i loro acquisti e di far loro firmare il conto ogni fine del mese. Quando in fine i tre Rusconi muoiono, Costante e Giovannina risultano i maggiori creditori e possono dunque acquistare l'intera casa patrizia di via Nosetto 6 pagando solo una piccola differenza.
Quando Giovannina rimane incinta, Costante decide di tornare ad Indemini per sistemare i suoi interessi. Le sue due figlie di primo letto sono ormai grandicelle, decide dunque di lasciare loro le sue proprietà (la casa, i campi ecc..) e dice loro che da quel momento tutto quello che avrebbe guadagnato sarebbe stato per la sua nuova famiglia che egli aveva fondato a Bellinzona.
Le due figliole raggiunta l'età del matrimonio si sposano, Antonia con un Berti (Marco o Carlo?) e l'altra con un Bertolli. Purtroppo però, a causa della divisione della proprietà, esse convivono ma non si vedono di buon occhio. La situazione peggiora quando durante una lunga assenza del Berti, la moglie decide di fare la pace con il marito della sorella. Dopo nove mesi nasce un bimbo chiamato Primo che però maltrattato dalla moglie del padre e dal marito della madre, cresce infelice e malaticcio, e muore ancora giovane con sollievo di tutti, e non viene più neanche menzionato.
Il 16 Aprile 1854 nasce il figlio Domenico, e Costante dopo le due figlie femmine è contento di avere finalmente un maschio e per l'occasione dona delle campane al comune di Indemini che vengono messe in opera il giorno della nascita di Domenico. Nel 55 nasce poi la sorella Maria Giovanna detta Marietta e poi semplicemente Jet. Essa una volta grande sposa un ingegnere della ferrovia, un certo Augusto Jäggli di Winterthur inviato a Bellinzona per l'apertura della nuova stazione della ferrovia del San Gottardo (un compagno di Augusto, un certo Kronauer sposa una Lavizzari parente della futura moglie di Domenico). Essi hanno 5 figli, Augusto, Mario, Rosa, Giovannina e Maria e si stabiliscono nella casa di Costante.
Domenico nel frattempo frequenta la Kantonschule di Coira e poi il politecnico di Stuttgart, ma quando nel 1878 torna a Bellinzona la ferrovia del Gottardo è ormai terminata ed egli facendo fatica a trovare lavoro decide di andare a Milano. Domenico trova quasi immediatamente lavoro in un ufficio di architettura che lavora per i Tedeschi.
A Milano dopo la recente cacciata degli Austriaci, si era creato un vuoto che viene presto riempito dalle grandi ditte tedesche. I Tedeschi che vengono ad aprire delle succursali a Milano costruiscono parecchio e, data la perfetta conoscenza del tedesco di Domenico, trattano sempre con lui. E' per questo che dopo due anni Domenico decide di mettersi in proprio, ma per fondare una ditta in Italia, egli è costretto a prendere un socio italiano. Sceglie dunque un suo operaio, Battista Bianchi, una brava persona che però non sapeva quasi ne leggere ne scrivere.
Nasce così l'impresa Italiana di costruzioni Ing. Domenighetti & Bianchi società anonima per azioni che diverrà poi una delle più importanti della capitale lombarda. Per prima cosa compera un terreno alla Bovisa e vi costruisce su una distilleria di catrame, poi a Saronno costruisce un deposito per il legname che faceva venire dalla Jugoslavia, a Busto Arsizio vi situa un altro grande deposito con magazzini ed uffici, ed infine altre due fabbriche, una di cartone catramato ed una di tegole e mattoni sono collocate una a Latterizzi e l'altra dove non si sa. Insomma in poco tempo gli affari vanno a gonfie vele.
Intanto a Bellinzona Costante non è contento che la figlia si sia stabilita con la sua famiglia nella casa che di diritto dovrebbe andare al figlio maschio. Decide perciò di andare a Milano a recuperare suo figlio. Prima di prendere la diligenza però, per paura dei "robasac" del Monte Ceneri, si sbriga a fare testamento.
Tornato finalmente a Bellinzona assieme a Domenico, egli pretende che esso si sposi e che vi si stabilisca una volta per tutte. Domenico per un po' lo asseconda dicendo però che non sapeva dove avrebbe potuto recuperare una moglie, (a quanto pare la Bellinzona di quei tempi doveva assomigliare molto alla Sicilia di questi). Il padre allora gli consiglia di mettersi davanti alla chiesa e di osservare le ragazze che escono. Ora non si sa bene se per caso o per sventura ma Domenico prontamente ne nota una che non aveva mai visto prima e, dopo essersi informato, si reca dal notaio Pietro Lavizzari, commissario del distretto di Bellinzona, per chiedergli la mano della figlia Luigia.
La madre della ragazza era una Calvi di Milano che prima di conoscere il Lavizzari era stata fidanzata con un ufficiale austriaco (pare fosse un conte imparentato con Radetzky). Questo ufficiale austriaco, come era allora d'uso, doveva compiere un atto di valore per confermare il suo grado. Durante una sommossa egli fu mandato per sistemare la faccenda ma ci rimase secco per una pistolettata.
Dopo la morte dell'ufficiale austriaco, Emilia, questo era il nome della ragazza, non voleva più sposare nessuno perchè credeva che chiunque a Milano sarebbe potuto essere l'assassino. La madre di Emilia, Donna Luisa, insisteva che la figlia si risposasse se no l'avrebbe mandata a suora. Ma Emilia si scusava sempre dicendo di pensare ancora al fidanzato ucciso.
Un bel giorno la madre le chiese se aveva finito il lutto perchè le voleva presentare dei giovanotti che pare facessero la fila dato che lei era molto bella. Ma Emilia continuava a rifiutare le attenzioni dei giovani milanesi da lei reputati tutti dei carbonari. Durante una festa, Donna Luisa, notò un bel giovane mai visto prima che se ne stava tutto solo. Essa si informò e le venne detto che era un giovane straniero che era in visita da parenti di Milano e che si era appena laureato come notaio. Donna Luisa fece di tutto per essere presentata con la figlia da questi parenti, e quando lo conobbe gli chiese subito da dove veniva. Lui disse che la sua famiglia, i Lavizzari, erano originari della Valtellina ma che ora erano svizzeri, e che egli abitava in Ticino, che era un paese libero e non vi si faceva nessuna guerra. Sentendo ciò Emilia pensò che almeno questo non poteva essere un assassino come gli altri e gli piacque subito. Nacque così una splendida storia d'amore, presto si sposarono e si trasferirono a Bellinzona (Ravecchia), ebbero due figli maschi, Carlo che emigrerà poi in America per cercare l'oro nel Klondike, non ne troverà abbastanza si darà al bere e vi morirà, Egidio, ed una bambina, Luigia, alla quale la madre usava raccontare sempre dei bei tempi a Milano.
Emilia purtroppo morì di cancro alla gola quando Luigia (Bigina) aveva solo 12 anni, ed il notaio Lavizzari trovatosi solo con la bambina decise di mandarla in un collegio di suore a Rorschach. Le brave suorine insegnarono alla ragazza il tedesco ed essa studiò alacremente, divenne molto brava nella calligrafia tedesca, e pare divenne la prima ragazza svizzera o perlomeno ticinese a fare la maturità. Quando essa compì i 19 anni, le suore dissero al padre che doveva decidersi se farla diventare suora novizia oppure se avesse preferito trovarle un marito da sposare. Consigliandosi con la figlia il notaio venne a sapere che essa non era affatto interessata a diventare suora, ma che piuttosto le sarebbe piaciuto andare a Milano a salutare i parenti della defunta madre (le sue zie).
Quando Domenico si presenta dal notaio Lavizzari per chiedere la mano di sua figlia, gli racconta dei suoi progetti di ritornare a stabilirsi a Milano. Il notaio pensa così di prendere due piccioni con una fava, ovvero di maritare la figlia e di darle la possibilità di andare a Milano, dato che lui non aveva gran voglia di portarcela. Annuncia dunque alla figlia di avere un pretendente, essa dapprima dice di non essere interessata, ma quando viene a sapere che il futuro sposo si sarebbe stabilito a Milano, cambia presto idea.
Purtroppo quando Domenico porta la fidanzata a casa sua, lei ci rimane un po' male a causa del grande affollamento. In fatti oltre ai genitori, la sorella col marito ed i figli, vi si trovavano anche diverse persone di Indemini che aiutavano nelle faccende di casa.
Ciononostante quando essi si sposano nel 1885, il padre Costante vuole dapprima che la sua nuova nuora rimanga con loro a Bellinzona mentre Domenico sarebbe andato a stare a Milano da solo. Ma Luigia presto si ribella dicendo che aveva sposato il marito e non la famiglia e lo segue a Milano.
I due sposini si stabiliscono dapprima in corso di Porta Romana al 42, poi in via Milazzo 14, in via Solferino 54 ed in fine in via Principe Amedeo 5 al terzo piano mentre gli uffici troveranno posto al primo.
Corre l'anno 1886 quando nasce il primo figlio, Costantino. Il padre Costante subito si fa avanti e vuole che il suo erede stia da lui a Bellinzona. Viene cercata dunque una balia e ne trovano una a Ravecchia, in campagna, dove i genitori vanno spesso a trovarlo. Purtroppo però quando il bambino compie il primo anno di età, come era d'uso allora, scade il contratto di allattamento con la balia. Essa affezionatasi al bambino, si offre di continuare a tenerlo, ma la zia Jet decide altrimenti, cerca una balia asciutta e trovata una paesana qualunque le affida il pupo. Questa però non sa riguardarlo con cura e dopo 2 mesi esso muore.
Nascono poi Emilia nel 87, Pinetta nel 90, Giovannina nel 92 ma che muore dopo pochi mesi e viene sotterrata a Giussano, e poi Rosalpina Giovannina detta Cina nel 94. Nel 95 muore il padre Costante e in suo onore Domenico fa scolpire un busto in marmo dallo scultore Soldini di Bissone. In fine nel 96 nasce l'ultimo figlio chiamato Costante secondo tradizione.
Una fra le tante attività di Domenico è una cava di marmo ad Albo di Mergozzo, un paesino in provincia di Novara, il quale marmo pare fosse servito per la costruzione del Duomo di Milano. Egidio Lavizzari, fratello di Luigia, vi lavora per conto di Domenico. Egli però sentendosi lontano da casa decide di tenersi compagnia con la sorella del proprietario dell'albergo dove abita e la mette incinta. Al che scoppia lo scandalo ed Egidio per riparare è costretto a sposarla. Luigia per salvare il nome della famiglia Lavizzari lo aiuta finanziariamente fino a comperargli una casa che essa ritiene però anche come propria casa di campagna e dove va di sovente con i bambini, ad ammazzarvi un pollo ed a fare festa.
Domenico torna spesso a Bellinzona e quando può si porta ad Indemini del quale ha molto a cuore i problemi e cerca in tutti i modi di far conoscere le condizioni più che difficili del paese fino a proporre, in mancanza di una strada carrozzabile, la costruzione di una funicolare aerea in partenza da San Nazzaro. A Berna però non si dimostrano molto entusiasti e decidono di preferire la costruzione di una strada (che verrà costruita però solo nel 1918). La funicolare avrebbe dovuto servire per portare i vettovagliamenti ad Indemini al posto delle donne colle gerle. La strada invece viene costruita solo per ragioni militari perchè gli abitanti (di questi tempi non ci sono ancora automobili) continuano a prendere sentieri e scorciatoie.
Domenico amplia la casa paterna di Bellinzona costruendo il retro su di una vecchia torre del castello di Uri.
Prima
Dopo
Nel 1908 si sposa la figlia Emilia con Silvio Ganassini ed hanno 4 figli di cui uno muore in fasce. Due anni dopo si sposa la seconda figlia con Albino Carmine, figlio di Giovanni, cugino del padre Domenico, ed hanno anche loro 4 figli.
All'avvento della prima guerra mondiale la ditta Domenighetti & Bianchi ha tantissimo lavoro soprattutto per la costruzione di baraccamenti militari. Siccome però a causa della guerra non si riesce più ad ottenere il legname necessario dalla Jugoslavia, Domenico decide di partire per la Svizzera per ottenere, dai diversi patriziati dei paesi, il taglio annuale dei boschi. Ricevuti i tronchi conclude, sempre in Svizzera, anche i contratti con le segherie, alcune delle quali persino nella Svizzera interna, ed in fine organizza il permesso di esportazione ed i vagoni del treno per il trasporto del legname in Italia. Tutto ciò non è così facile come sembra, gli operai che devono tagliare gli alberi, vogliono essere pagati in polenta di farina gialla, e la polenta che all'inizio della guerra costava 50 centesimi al chilo ora ne costa 5 Franchi. Sempre per colpa della guerra la Lira si continua a svalutare e Domenico quando riceve i soldi dall'Italia li deve cambiare subito per perderci il meno possibile, mentre i vagoni per il trasporto del legname erano limitati e per prenotarli doveva fare espressamente domanda alle autorità di Berna.
Per complicare il tutto, a Domenico è sempre più difficile passare la dogana, ed egli è costretto a chiedere aiuto finanziario anche a dei tedeschi che erano fuggiti dall'Italia e che si erano rifugiati a Lugano. In fine poi, Domenico si ammala a causa di un antrace alla nuca (specie di grosso foruncolo) e rimane immobilizzato a Bellinzona per alcuni mesi.
Nel frattempo la ditta a Milano viene mandata avanti dal Bianchi. Dei nazionalisti che non sopportavano il fatto che il padrone di una ditta che lavorava per lo stato e le autorità militari fosse straniero, consigliano al Bianchi di disfarsi del suo socio. In occasione dell'assemblea annuale della società, essi fanno si che a Domenico venga negato il permesso di passare la dogana e così egli non potendosi presentare viene messo in minoranza risultando come rinunziatario e tutto passa in mano al Bianchi. Domenico riceve una buona uscita di 50 mila Lire ma perde tutti i terreni e gli immobili che erano parte della ditta.
Dopo la guerra, quando Domenico ha finalmente il permesso di varcare la frontiera e può ritornare a Milano, cerca di farsi giustizia, e va in comune per farsi dare delle spiegazioni. Gli viene risposto però che anche se conoscevano la sua situazione, a causa di alcune lettere anonime, si dovette procedere in tale maniera e non si può più cambiare nulla. Gli fanno molte scuse e attribuiscono tutto alle difficoltà della guerra.
Battista Bianchi, il socio di Domenico, si sposa intanto con una segretaria della ditta che gli insegna a scrivere ed hanno 2 figli.
Tornato a Milano con la famiglia, Domenico deve cedere l'appartamento di via Principe Amedeo 5 alla ditta e si trasferisce in un altro appartamento più piccolo nello stesso palazzo, dato che con lui e sua moglie erano rimasti solo i due figli più giovani, Cina e Costante tornato da poco da Coira.
Domenico però disgustato di non essere più il padrone nella sua stessa ditta, perseguitato dagli avvocati, sconsigliato dal figlio Costante a continuare nella lotta per la giustizia e gravemente ammalato di mal di stomaco, ritorna a Bellinzona dove vi muore di infarto nell'ottobre del 1924 all'età di 70 anni.
Il figlio Costante, durante la guerra, studia a Coira, continua poi al politecnico di Milano dove si laurea prima come ingegnere civile e poi come ingegnere industriale per poter rimanere un anno in più con Adelina (Daide) Racheli che aveva conosciuto al politecnico e che diventa la terza donna laureata e prima donna ingegnere in Italia. Costante essendo di idee socialiste non vuole interessarsi delle industrie paterne, sposa Daide il 22 Febbraio 1923 e va per la sua strada. Più tardi fonda la sua ditta, ma non la può chiamare con il suo nome perchè la vecchia Domenighetti & Bianchi esiste ancora, e decide perciò di chiamarla Società Italiana Macchine Edili Stradali e Agricole (SIMESA).
Daide e Costante lavorano alacremente conquistandosi una posizione sociale di prim'ordine. Daide partorisce 5 figli ma trova lo stesso il tempo per impiantare uffici che trattano brevetti in diverse città, è una donna forte, adora il suo lavoro, ma è anche moglie e madre tenerissima.