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SIMESA: ultimo atto

Prologo

Se mio nonno Domenico avesse scritto con la sua bella calligrafia rotonda la storia della "Domenighetti e Bianchi", io ne sarei stato felice. Specialmente le ultime fasi di questa sua ditta sono avvolte infatti nel mistero:
Mio padre è sempre stato piuttosto reticente al riguardo. L'unica che si è sbottonata un po' è stata la zia Cina che raccontava di strane manipolazioni azionarie fatte dai Bianchi per estromettere dalla società il nonno approfittando della sua assenza dall'Italia durante la guerra del '14-'18. I Bianchi avrebbero poi pagato la loro cattiva azione, diceva la zia Cinetta, perchè sono poi morti tutti pazzi.

Anche la Simesa, industria nata fra le due guerre mondiali, ha avuto i suoi alti e bassi, per poi finire poco felicemente nel 1986.
Affido dunque alla curiosità di uno o due posteri queste note che raccontano le ultime fasi della azienda che è stata la passione di mio padre, prima, di mia madre poi, e che ha impegnato tanti anni della mia esistenza (e di molti altri).

Per far vedere che non scherzava, la Giustizia Italiana aveva allora accusato anche mia sorella Daria che era morta fin dal lontano 1978, ossia circa cinque anni prima che si svolgessero i fatti.

Il 13 Aprile 1995, il Tribunale di Milano proscioglieva me e mia sorella Delfina con formula piena dalle accuse sollevate dal pubblico accusatore circa otto anni prima in ordine al dissesto Simesa. Questa assoluzione getta una luce più serena sulle ultime fasi della azienda risvegliando, spero, il benevolo interesse delle persone che mi sono care, sui miei commenti che seguono.


Se agli adulti non dovesse più importare molto ciò che è realmente accaduto, che passino queste pagine ai più giovani che sono i portatori dei "geni" dei loro padri, nonni e bisnonni e che forse potranno trarre qualche spunto per leggere dentro la propria mente e capire meglio le ragioni del loro giornaliero operare.

La Reazione

Per le aziende del nostro settore, il modo più immediato di reagire fu quello di organizzare fusioni, assorbimenti o altre diavolerie per cercare di ridurre la concorrenza e di unire le forze. La Simesa, che già forniva alcune aziende estere del settore, cercò di rafforzare questi legami. Contemporaneamente, in Simesa si mise in moto il laborioso processo di unificare tutte le attività produttive nello stabilimento di Bareggio, lasciando libero quello di Quarto Cagnino che venne successivamente affittato a diverse aziende artigianali. Alla fine di questa operazione, (troppo tardi, eravamo già in Amministrazione Controllata) gli affitti che la Simesa incassava da Quarto Cagnino ammontavano a ben 650 Milioni di Lire all'anno! Anche i risparmi che si potevano realizzare grazie all'unificazione della fabbricazione in un unico stabilimento inducevano a sperare che le difficoltà dovute all'avversa congiuntura avrebbero potuto essere superate.

Un cenno di storia

Proprio nel triste anno in cui moriva mia sorella Daria, ossia nel 1978, scoppiava il secondo Shock Petrolifero originato dall'interminabile scontro arabo-israeliano.
Il prezzo del "grezzo" passò istantaneamente da 10 a 40 dollari al barile paralizzando tutti i programmi di sviluppo connessi al mondo dei trasporti.
La Simesa e tutte le aziende concorrenti specializzate nel settore delle costruzioni stradali, aeroportuali ecc. si trovarono di fronte a notevoli problemi di smaltimento dei propri prodotti. Siccome, però, il primo "Shock Petrolifero" era venuto intorno al '72 ed era passato, dopo molta paura, senza fare eccessivo danno, non tutte le aziende reagirono stavolta con sufficiente rapidità per diversificare, snellire e prendere comunque tutti i provvedimenti necessari.
Fu in questo periodo che i soci della Simesa (quelli che erano rimasti) decisero di fare lo estremo sacrificio di iniettare la massima quantità possibile di danaro fresco per consentire la realizzazione del programma di snellimento.
Allo scopo si diede fondo, fra l'altro, alle riserve rappresentate dalla "Immobiliare Amundsen", cosa di cui più tardi ci si ebbe a pentire, per le ragioni che vedremo più avanti.

Si arrivò cosi fino al 1984, lottando contro mille difficoltà fra le quali ricordo la durissima opposizione dei sindacati alla riunificazione dei due stabilimenti (che portava alla conseguente eliminazione dei doppioni).
Ricordo che in quell'anno (1984) molto restava ancora da fare per realizzare la "ristrutturazione" che avrebbe portato la Simesa in condizioni di superare le difficoltà del mercato, ma ricordo anche che i risultati dei primi provvedimenti davano la speranza che, col tempo, lo scopo sarebbe stato raggiunto ed i sacrifici fatti, alla fine non sarebbero stati vani.
Anche la scomparsa dal mercato di alcuni concorrenti, dava a sperare che la lotta per la sopravvivenza sarebbe stata in futuro meno accanita.
Purtroppo non fu così: nel 1984 fallirono uno dopo l'altro diversi nostri importanti clienti esteri, procurando alla Simesa un danno di dimensioni tanto ampie da non consentirle più di proseguire il suo programma di riadattamento al mercato.

La Concorrenza

Che la crisi petrolifera numero due non fosse uno scherzo, almeno per le aziende costruttrici di macchine stradali lo si capisce facilmente se si confronta la situazione del mercato italiano prima dello Shock del '78 con quella della fine degli "anni ottanta":
All'inizio le industrie italiane costruttrici di macchinario stradale che facevano concorrenza alla Simesa, erano, in ordine di importanza le seguenti:
Marini, Loro-Parisini, Bitelli, Ursus-Peroni, SIM Verona, Bernardi, Pieralisi, Antonelli-Vibrogam e poche altre minori.
Oggi l'unica azienda rimasta indipendente ed operativa è la Bitelli.
Marini e SIM sono state acquistate da concorrenti estere e la loro attività è stata grandemente ridimensionata (per es. Marini è passata da 1200 dipendenti a meno di 100).
Tutte le altre sono scomparse dalla scena.

Era accaduto infatti che diversi clienti esteri si erano nel frattempo raggruppati in una "Holding" seguendo i criteri dettati dalla grave situazione causata dalla crisi energetica, cosicchè quando uno del gruppo andò in dissesto, purtroppo tutti gli altri finirono per seguirlo.

Oggi mi rendo conto, col senno del poi, che questo è stato forse il mio più grande errore gestionale: avrei dovuto accorgermi in tempo utile del pericolo che queste "fusioni" fra clienti rappresentavano per noi fornitori.

Alla fine del 1984 mi vidi dunque costretto a presentare domanda per l'ammissione della SIMESA alla Procedura di Amministrazione Controllata.
Al termine del primo anno la prassi vuole che il Commissario ed il Giudice esaminino la situazione per decidere il da farsi. La SIMESA non era tornata in attivo, ma non era nemmeno tanto peggiorata da passarla al fallimento e decisero quindi di proseguire per un altro anno con l'amm. controllata, come prevede la legge.
Trascorsero così gli anni 1984 e 1985 in una lotta furiosa per riconquistare i mercati esteri (distrutti dai noti fallimenti a catena dei nostri precedenti corrispondenti) ed il mercato nazionale inquinato dalla concorrenza che sfruttava al massimo lo stato di semi-insolvenza della SIMESA, reso palese dalla procedura di amm. controllata.
Alla fine del secondo anno, l'Amministrazione Controllata non poteva venir più prorogata, per legge, ma la situazione non era ancora sufficientemente migliorata. Alla fine del 1985 si presentavano quindi due sole vie d'uscita: il fallimento o la Procedura di Concordato Preventivo.
Lunghe e laboriose consultazioni con i nostri migliori consulenti portarono alla conclusione che fosse opportuno e giusto inoltrare al giudice la domanda di ammissione alla procedura di Concordato Preventivo.
Le ragioni principali di questa decisione furono le seguenti:

L'Amministrazione Controllata

La chiamano "l'anticamera del fallimento" e purtroppo nel nostro caso questo appellativo si è dimostrato giusto, tuttavia allora sembrava che ricorrere a questa procedura avrebbe mantenuto in vita la speranza di poter ultimare il processo di ristrutturazione (contrastando finalmente anche l'assurda opposizione sindacale).
Fra i lati positivi di questa procedura c'è quello che l'intera attività dell'azienda viene mantenuta sotto rigoroso controllo del Commissario e del Giudice a lui preposto, cosicchè, per la durata della procedura (nel ns. caso due anni), qualsiasi operazione amministrativa è stata eseguita in modo rigorosamente rispettoso delle leggi. Nel corso di questi due anni, sia il Commissario che il Giudice hanno avuto occasione di spulciare anche tutta l'attività svolta dall'azienda negli anni precedenti trovandola perfettamente in regola.
Un lato invece molto negativo di questa procedura è risultato essere quello del cattivo nome che si diffonde sul mercato e che viene sfruttato in modo ignobile dalla concorrenza.
Quest'ultima difficoltà ha ostacolato non poco la desiderata riconquista dei mercati, mentre non ha avuto conseguenze sulle trattative in corso per l'acquisizione dell'azienda da parte dei gruppi esteri.
Infatti all'estero il fare ricorso da parte di una azienda in difficoltà della "protezione" offerta dal famoso "Chapter 11" non è cosa considerata grave.

La domanda per l'ammissione al Concordato Preventivo fu preparata con cura dallo studio Naggi (salatissimo nostro super consulente) con la supervisione della Dottoressa Goccini, venne corredata da numerose perizie e fu presentata al giudice nell'autunno del 1985 con buone speranze che venisse accolta.
E invece no !
Il Commissario preposto all'Amministrazione Controllata, che per due anni aveva operato senza poter trovare nulla da ridire circa il funzionamento corretto dell'azienda, seguendo una prassi discutibile nominò un perito (tale Architetto Santulli) con l'incarico di eseguire una Contro Perizia per la valutazione delle "Attività Realizzabili" della Simesa.
Le operazioni peritali del Santulli cominciarono in Ottobre e finirono nel Gennaio dell'anno successivo ed il risultato fu che, secondo lui, le "Attività Realizzabili" erano inferiori di circa 5 (cinque) miliardi di lire rispetto a quelle indicate nella nostra Domanda di ammissione al Concordato Preventivo.
Per l'esattezza, le nostre Attività Realizzabili erano da noi stimate in 16,5 miliardi, mentre la perizia Santulli sosteneva che, vendendo tutti i beni Simesa, si sarebbe potuto realizzare al massimo 11,5 miliardi.
Si noti che, se si fossero realizzati i nostri 16,5 miliardi avremmo potuto pagare tutti i debiti all'80% ed oltre, mentre che per superare la soglia del 40% sarebbe stato sufficiente realizzare, vendendo tutto, 12,8 miliardi.
La perizia Santulli era (di poco) inferiore anche a questa soglia!

Il Giudice credette al Santulli, respinse la nostra domanda ed iniziò la definitiva procedura fallimentare.

Avendolo visto all'opera durante i quattro mesi nel corso dei quali aveva svolto la sua "perizia" mi sono subito reso conto che l'individuo o era incapace, oppure perseguiva un deliberato piano di svalutazione sistematica di tutti i beni della Simesa.
Durante questi quattro mesi, numerosi casi clamorosi di vendite realizzate a prezzi 3 - 5 volte superiori alle stime Santulli avevano fatto capire anche agli ultimi collaboratori della Simesa che la perizia Santulli "puzzava parecchio".

Il mio primo istinto fu di reagire facendo ricorso contro quella che già allora si configurava come una grave ingiustizia.
Molti miei collaboratori, quelli fedeli, fecero a gara per raccogliere le prove che le valutazioni del perito erano drammaticamente errate per difetto.
Mentre il Santulli scriveva cifre a capocchia sugli stessi "tabulati" Simesa che descrivevano il nostro inventario, l'attività aziendale proseguiva normalmente e molti degli oggetti che erano stati già valutati dal perito venivano nel frattempo venduti a prezzi macroscopicamente più elevati di quelli di perizia.
Raccolti i dati più significativi li sottoposi ai miei consulenti con i quali avevo preparato la domanda per l'ammissione al Concordato Preventivo, però tutti mi suggerirono stranamente di lasciar perdere, di non "svegliare il can che dorme" ecc. ecc.

Oggi sono indotto a pensare che essi temessero che il mio ricorso avrebbe sollevato le ire di chi aveva architettato il piano che si basava sulla perizia svalutata, oppure che essi temessero che un approfondimento delle indagini, a seguito del mio ricorso avrebbe potuto far venir fuori qualche vecchia presunta irregolarità nella gestione della Simesa.
Io, invece ero perfettamente sicuro che nessuna indagine avrebbe potuto far emergere irregolarità di sorta, tuttavia ero nauseato di continuare a dedicare il 99% del mio tempo a discutere questioni legali, fiscali, sindacali o amministrative.

I dati fasulli della perizia Santulli

Di tutte le amenità contenute nella perizia Santulli, ne ricordo qui un paio per rallegrare il grigiore di queste note:

-- nell'inventario Simesa c'erano trentaquattro macchine d'occasione che formavano il parco di rotazione delle macchine che si ritiravano in permuta dai clienti quando comperavano una macchina nuova.
Il Santulli aveva dato all'intero parco il valore di 89 milioni. Durante il periodo in cui il Santulli "redigeva" la perizia, di queste macchine ne sono state vendute quattro per un importo globale di 130 milioni! Si domanda: quanto era allora il valore residuo delle restanti trenta?

-- La Simesa possedeva due piccoli appartamenti a Roma, che erano stati ripetutamente periziati, per varie ragioni, per un valore complessivo di 220 milioni. Nella mia domanda per l'ammissione alla procedura di Concordato preventivo era stato indicato un valore realizzabile di 200 milioni.
La perizia Santulli abbattè questo valore a 170 milioni...... Il Curatore Fallimentare, vendette questi due appartamenti pochi mesi più tardi a 270 milioni!
Fortuna che il Santulli era un architetto.... chissà che valore avrebbe attribuito a questi due appartamenti se fosse stato un ingegnere meccanico!

Se avessi presentato il ricorso ero quasi certo che la perizia Santulli sarebbe stata riconosciuta falsa, ma poi?
La mia vocazione, o, per dirla in modo meno romantico, il mio scopo (o divertimento) era di studiare, progettare nuove macchine, sperimentare nuovi prototipi, inventare nuove tecnologie, possibilmente a tempo pieno e non dedicandovi solo 4 minuti alla settimana come mi era capitato di poter fare negli ultimi anni di gestione Simesa!
I miei consulenti faticarono quindi poco a convincermi:
dopo aver scritto una prima bozza del ricorso ampiamente documentata, la chiusi in un cassetto e lasciai che la Simesa fallisse quietamente, con buona pace dei sindacati e degli..... intrallazzatori fallimentari.

Oggi, a dieci anni di distanza e con alle spalle una bella sentenza assolutoria, qualche volta mi do del vigliacco, poi ci ripenso e quasi mi assolvo, ricordando che allora, con tutti quei fior di consulenti, quando si trattava di prendere le decisioni importanti la responsabilità era solo mia.

Ah, dimenticavo!

Il Tribunale Fallimentare di Milano nominò in data 23 Marzo 1986 il Curatore Fallimentare nella persona (guarda caso) del Commissario che aveva curato la precedente procedura di Amministrazione Controllata e che aveva a sua volta nominato (guarda caso) il perito Santulli autore della perizia con valori così bassi da provocare (guarda caso) il rifiuto da parte del Tribunale della mia domanda di Concordato con conseguente passaggio al Fallimento!
Il Curatore Fallimentare metterà poi in vendita i beni basandosi (guarda caso) sui valori fasulli della perizia Santulli.

Quante coincidenze !

Peccato che Di Pietro sia entrato in scena solo cinque anni più tardi.

I Capi d'Accusa

Nel Marzo dell'88, ossia dopo oltre due anni dal fallimento, e mentre la procedura continuava a masticare le sue operazioni di svendita, mi raggiunse una letterina della Procura della Repubblica di Milano che mi avvisava di aver iniziato contro di me un nebuloso "procedimento penale" sulla base di articoli di codice assai generici.

In quell'epoca quasi nessuno dei comuni mortali sapeva che questa letterina si chiamava "Comunicazione Giudiziaria" o "Avviso di Garanzia". Oggi, dopo "Tangentopoli" ci sono fior di politici che ne hanno collezionate una settantina di queste comunicazioni ed ho il sospetto che in Italia uno che non ne ha ricevuta nessuna viene considerato oggi un po' "out".

Allora, però io l'ho presa sul serio, ma serenamente, dato che avevo la coscienza pulita.
Alcune persone che mi erano vicine si sono invece molto allarmate, sia per la vastità dei reati contemplati nei citati articoli, sia perchè temevano evidentemente che io avessi qualcosa da nascondere.
Dietro consiglio di Enzo Bilardo, mi sono potuto servire per la difesa di un avvocato ottimo, specializzato nelle questioni fallimentari (L'avvocato Adornato) presso il quale ho eletto il mio domicilio legale, in quanto sono cittadino svizzero e risiedo all'estero.
Quando poi arrivò la notifica che dettagliava i capi d'accusa, mi accorsi che si trattava di imputazioni inconsistenti:
Il capo di accusa esposto al punto a) riguardava solo me ed era quello più stimolante:
Mi trovavo di fronte ancora una volta alla classica sfida fra l'intelligenza e la stupidità, divertente in questo caso, dato che, l'intelligenza era evidentemente la mia, mentre la stupidità era dalla parte di chi aveva formulato l'accusa.
L'imputazione esposta al punto b) si discosta dalla prima solo per questioni marginali che non vale la pena di esaminare.
Infine il capo di accusa di cui al punto c) che riguarda anche mia sorella Delfina risultava ad un esame attento, di una tale vacuità ed inconsistenza che si valutò subito non valesse la pena di predisporre una difesa più lunga di una paginetta formato protocollo.
Purtroppo un capo d'accusa così campato in aria, inconsistente, addirittura illogico, (quello che compare in questo ultimo punto c), che avrebbe potuto venir dibattuto in pochi giorni con conseguente proscioglimento degli accusati, ha procurato gravi danni al lavoro della Delfina per il solo fatto che le lungaggini procedurali hanno trascinato avanti per molti anni una situazione dubitativa.

La Difesa

Per me, invece, il periodo più spiacevole fu indubbiamente quello che intercorse fra l'"avviso di garanzia" ed il ricevimento della descrizione dei capi d'accusa.
Infatti, nonostante la coscienza pulita, mi venivano raccontate troppe storie sulla giustizia Italiana che sbatteva in galera degli innocenti per anni ed anni prima di accorgersi di aver preso dei granchi!
Quando infine riuscii a "toccare con mano" la descrizione del reato che mi veniva attribuito, qualsiasi timore scomparve e mi venne molto utile quel ricorso che avevo preparato anni prima quando venne resa nota la "Perizia Santulli".
Lo tirai fuori dal cassetto (o meglio, dall'Hard disk del mio computer), lo elaborai ancora con gli ultimi dati che emergevano dalla procedura fallimentare (che continuava il suo proficuo corso) e presentai il tutto al mio avvocato che affittò un camioncino (per gli allegati!) e la presentò in tribunale a "chi di dovere".
Era una bella memoria di difesa, corposa e ricca di diagrammi colorati, ma, quel che più conta, corredata da una montagna di documenti originali incontrovertibili che demolivano la perizia Santulli.
Questa perizia era (alla data della stesura della mia memoria) l'unico termine di paragone per verificare se era vero che io "redigendo la situazione patrimoniale avevo attribuito alla società attività inesistenti".
E adesso viene il bello! Il Tribunale, una volta ricevuto tutto questo ben di Dio, che solo per leggerlo e verificarlo gli sarebbe magari occorso un paio di mesi, si chiuse in un dignitoso silenzio per la bellezza di SEI ANNI !
Mentre trascorrevano tutti questi anni cosa poteva immaginare un contadino svizzero che se ne stava operoso, ma tranquillo nelle sue valli? Poteva immaginare per esempio che la memoria di difesa era stata fatta così bene da spaventare qualcuno inducendo "chi di dovere" a lasciar trascorrere i termini insabbiando definitivamente la pratica, oppure poteva immaginare che l'opulenta spartizione che si stava consumando nel corso della interminabile Procedura Fallimentare richiedesse la massima tranquillità.

Finalmente agli inizi del 1995 la Procedura Fallimentare SIMESA potè considerarsi praticamente chiusa. (per la chiusura formale ci vorranno ancora mesi, ma ormai i giochi erano tutti fatti!) e, guarda caso, verso fine Gennaio arrivò al mio avvocato, e quindi a me e alla Delfina convocazione perentoria per il 10 di Febbraio: l'inizio del dibattimento.

Si sarebbero dunque discussi fatti che si erano svolti nove o dieci anni prima. Ci si cominciò a preoccupare della solidità della memoria dei vari testimoni convocati e degli stessi imputati che cominciavano a dare segni di rimbambimento...

Ma le lungaggini burocratiche, che siano "fisiologiche" oppure provocate ad arte, talvolta si ritorcono proprio contro gli interessati.....infatti l'ultima mazzata ai capi d'accusa ed alla infame perizia Santulli la diede proprio questo enorme ritardo che consentì di confrontare le stime e le perizie fatte a suo tempo, anche con i risultati finali ottenuti dalla Procedura Fallimentare.

I Risultati del Fallimento

Il dibattimento si stiracchiò fra un rinvio e l'altro dal 10 Febbraio fino al 13 Aprile (data della sentenza assolutoria) e nel frattempo si ascoltarono vari testimoni della difesa e, per l'accusa, se ho capito bene, si ascoltò solo il Curatore Fallimentare. Non sto qui a dilungarmi sulle testimonianze che confermavano le mie tesi di difesa e mi limito a citare quella del Curatore Fallimentare che a fronte di una precisa domanda del Presidente della Corte, disse che il Fallimento aveva realizzato ben 12,7 miliardi vendendo le attività patrimoniali dell'azienda !
A questo punto qualche chiarimento è d'obbligo:

Innanzitutto il fallimento procede a svendite all'asta raggruppando fra loro beni non omogenei e quindi spuntando prezzi assai bassi.
In secondo luogo, a queste aste partecipano solo commercianti che acquistano questi lotti incoerenti di merce per poi rivenderla al dettaglio agli utilizzatori finali ricavandone il legittimo profitto.
Se gli stessi beni fossero stati venduti direttamente agli utilizzatori finali (come sarebbe potuto avvenire nella procedura di Concordato Preventivo) si sarebbero spuntate cifre molto più elevate in quanto la procedura avrebbe potuto trattenersi anche il profitto del commerciante.
Osserviamo infine che la somma realizzata dal fallimento è comunque superiore di oltre un miliardo alla perizia Santulli ed è inferiore di soli 100 milioni al valore concesso dalla legge per realizzare il Concordato.


Stabilimento SIMESA a Bareggio
Stabilimento SIMESA a Bareggio con nuova Superstrada

Ma c'è di più:

Nel lungo periodo che intercorse fra la dichiarazione di fallimento e la data in cui il Curatore Fallimentare decise di mettere all'asta lo Stabilimento Simesa di Bareggio, le autorità preposte modificarono il locale piano regolatore per far passare una superstrada proprio attraverso lo stabilimento stesso.
Allo scopo, le autorità fecero una formale richiesta di esproprio di una fascia di oltre 7000 metri quadrati che veniva a tagliare in due lo stabilimento.
Il Curatore, posto di fronte a questo fatto nuovo ed imprevisto mise in moto, guarda caso, il solito Santulli il quale, fatta ricca perizia, confermò che, a causa della variante introdotta al Piano Regolatore, il valore dello stabilimento diminuiva di circa 1,5 miliardi!
Conoscendo le unità di misura adottate da questo perito, è legittimo pensare che la diminuzione di valore sia stata di almeno 2 miliardi, che vanno ovviamente aggiunti ai 12,7 dichiarati dal Curatore nel corso della sua testimonianza, in quanto la vendita all'asta dei moncherini di questo stabilimento ha avuto luogo dopo l'esproprio.
E allora vedete che si arriva ad una cifra di realizzo da parte del Fallimento di ben 14,7 miliardi che sono parenti stretti dei 16,5 miliardi esposti nella mia originale domanda per l'ammissione al Concordato Preventivo!

Siccome chi è riuscito a leggere fino qui deve ormai essere afflitto da una barba mortale, per fargli far quattro risate gli comunico che della superstrada, a tutt'oggi (e siamo nel 1995) non c'è ancora assolutamente traccia!
E probabilmente non la si costruirà mai più, in quanto il Piano Regolatore è già cambiato oppure i nuovi politici lo stanno cambiando ora, almeno così si bisbiglia nelle osterie di Bareggio e di Sedriano....
Ma intanto la diminuzione di valore di due miliardi, quella si che resta e pesa sul groppone di tutti gli interessati, vecchi e nuovi.
Aggiungiamo anche questa "opera incompiuta" alle mille che costellano lo stivale a testimoniare la potenza della bustarella.

E se invece..

Supponiamo che invece, la mia domanda fosse stata accolta, oppure il mio ricorso avverso alla perizia Santulli avesse fatto inceppare il meccanismo perverso che ha portato al Fallimento.
Non è difficile immaginarsi cosa sarebbe accaduto:

Interrompo rapidamente questo esercizio speculativo di retrospezione e mi limito a sottolineare che, dopo il fallimento, NON sono rimasto colle mani in mano.
Tutta la mia attività negli ultimi dieci anni, ossia dal 1985 ad oggi, si è svolta nello stesso settore di mercato, ossia quello delle macchine e degli impianti per le costruzioni stradali, aeroportuali e di genio civile in genere.
Ho avuto, e continuo ad avere, contatti di lavoro con tutti i vecchi Clienti e Concorrenti della Simesa che hanno sempre manifestato stima e rispetto per questa azienda e per la qualità dei suoi prodotti che ancora popolano i cantieri di tutto il mondo dimostrando una invidiabile longevità.
La particolare fama dei prodotti Simesa sempre innovativi ed originali mi ha aiutato molto quando, in seguito, ho presentato nuovi studi, progetti o brevetti, tanto è vero che, oggi mi vien da considerare la scomparsa dell'industria Simesa come un grave ma non irrimediabile incidente di percorso nell'arco di una attività creativa di più ampia portata.

Il Pistolotto Finale

Il breve racconto delle ultime fasi della Simesa, sul tipo di quello che ho sognato di trovare fra le carte del nonno Domenico, (per la "Domenighetti e Bianchi") è finito.
Ho lasciato fuori mille dettagli per me divertenti, ma probabilmente noiosi per chi mi legge. Tuttavia spero di aver dato un'idea della stimolante battaglia di retroguardia che abbiamo dovuto combattere per finire in modo dignitoso.

Questa battaglia l'ho certamente perduta, ma la guerra continua.
Quale guerra?
Quella dell'onestà e dell'intelligenza contro la malvagità e la stupidità dilaganti. (La nonna Adelina diceva che la mamma dei cretini è sempre in cinta!)
Lei mi ha insegnato da che parte stare.
Diceva che è più divertente combattere dalla parte di qua, perchè si è in pochi, ma la compagnia è buona e ci si capisce con uno sguardo.....
Certo che, stando da questa parte, capita spesso di perdere delle battaglie: i malvagi hanno armi potenti e sanno manovrare gli stupidi molto meglio di noi.
Però non si divertono, hanno le facce serie, sono spesso incazzati e poi, lo diceva la zia Cinetta, muoiono sempre tutti pazzi!

Io ho scelto da che parte stare. . . . . . . . . . . . . . . E voi?

Fine